Con il termine autolesionismo si intende l’insieme di tutti quei comportamenti intenzionali finalizzati a procurare un danno rivolto alla propria persona, indipendentemente dal desiderio di togliersi la vita.
La definizione è stata formulata dal OMS nel 1992, secondo cui l’autolesionismo è un comportamento:
- non fatale;
- intenzionale;
- volto a danneggiare se stessi;
- che non prevede l’intervento di altre persone;
- finalizzato ad apportare, mediante le conseguenze fisiche attese, dei cambiamenti.
Alcuni esempi di atti autolesivi sono: tagliarsi, bruciarsi, colpire parti del corpo, ingerire degli oggetti, mordersi, assumere dosi eccessive di sostanze rispetto a quelle prescritte o considerate terapeutiche.
Farsi del male è un comportamento estremamente impulsivo, infatti molte persone riferiscono che tra il pensiero di agire e l’atto stesso passano pochissimi minuti.
Il tasso d’incidenza è elevato, ed è stata riscontrata una prevalenza nel genere femminile e negli adolescenti. L’autolesionismo, inoltre, è un forte predittore di successivi e futuri comportamenti autolesionistici e suicidari.
L’autolesionismo è un comportamento molto diffuso negli adolescenti, soprattutto in presenza di difficoltà a casa, pressioni scolastiche, bullismo, ansia, depressione, bassa autostima, trasferimenti, uso di alcool o droghe.
La messa in atto di autolesionismo consente di focalizzare la propria attenzione sul dolore fisico.
Le motivazioni sottostanti la messa in atto dell’autolesionismo sono in genere relative la necessità di uscire da uno stato percepito di profondo vuoto per riconnettersi alla realtà e la gestione di stati emotivi spiacevoli percepiti come altrimenti non maneggiabili.
Il comportamento autolesionistico sposta così l’attenzione dal dolore emotivo a quello fisico, vissuto come più tollerabile.
Il dolore fisico in un primo momento allenta la tensione, generando sollievo, e allontana da esperienze emotive che non si vogliono sperimentare.
Nel tempo però ciò rischia di generare nuove esperienze emotive spiacevoli, quali colpa e vergogna per aver messo in atto il comportamento.
Autolesionismo come punizione
L’autolesionismo può rappresentare anche una forma di auto-punizione: il senso di colpa e l’autocritica possono elicitare condotte autolesive in soggetti vulnerabili.
Autolesionismo come ricerca di attenzione
Il comportamento autolesionistico può rappresentare infine una modalità disfunzionale attraverso la quale ricercare attenzione, richiedere aiuto o comunicare agli altri il proprio disagio.
Un gesto estremo utilizzato al fine di urlare al mondo la propria esistenza/presenza e la sofferenza che non si è in grado di comunicare a parole.
L’atto autolesionistico, quindi, permette di “lasciar uscire il dolore”, spostare l’attenzione da una sofferenza emotiva a una sofferenza fisica, ridurre il senso d’impotenza, comunicare la propria sofferenza interiore agli altri. Questi comportamenti, dunque, si presentano quando le persone sperimentano emozioni dolorose, che non sono in grado di identificare (“etichettare”), regolare e/o che non riescono a esprimere in maniera adeguata quando stanno cercando aiuto. Il frequente ricorso a queste strategie di fronteggiamento della sofferenza lo fa progressivamente diventare un comportamento abituale che poi le persone non sono più in grado di interrompere, nonostante ne percepiscano i costi a lungo termine e la pericolosità.
Tratto da:
www.istitutobeck.com/terapia-cognitivo-comportamentale/disturbi-di-personalita/disturbo-borderline-personalita/autolesionismo?sm-p=1584812314
www.ipsico.it/news/autolesionismo/